Enkh-Joseph è il primo sacerdote cattolico della Mongolia. È stato ordinato nella cattedrale dei Santi Pietro e Paolo il 28 agosto 2016, alla presenza di quasi tutti i fedeli cattolici del Paese, oltre che di molti ospiti stranieri. La Chiesa Cattolica in Mongolia conta poco più di 1500 battezzati ed ha accolto con gioia questo evento storico.
La storia vocazionale di Enkh inizia in famiglia, quando le sue sorelle maggiori si avvicinano alla Chiesa e ricevono il battesimo. Nel giro di poco tempo si interessa anche lui della loro vicenda e comincia a frequentare la neo-istituita parrocchia della cattedrale di Ulaanbaatar. Quando l’abbiamo conosciuto noi era un ragazzino timido e gentile, che cominciava a porsi delle domande importanti. Suo papà era morto quando lui era piccolo e la mamma, quando sente del suo desiderio di entrare in seminario, rimane un po’ titubante; così Enkh accetta il suo consiglio di concludere prima l’università e si iscrive a un college di Ulaanbaatar. Il diploma arriva presto e a questo punto la mamma non oppone più resistenza. È pronto per il seminario: ma quale, visto che in Mongolia non ce ne sono? La diocesi coreana di Daejeon è in ottimi rapporti con la Prefettura Apostolica di Ulaanbaatar e così Enkh inizia il cammino di formazione presso quel seminario, reso più impegnativo a motivo della lingua diversa che il neo-seminarista doveva imparare; anche se adesso parla meglio di un Coreano, dicono. Più di sette anni di studio e finalmente il grande giorno.
L’evento – di portata storica – è stato preparato per mesi da un’apposita commissione. Visto che la capienza della cattedrale è di 600 posti, si è dovuto allestire uno spazio all’esterno e nella vicina palestra dei Salesiani, per consentire alla gente di seguire da vicino la liturgia. Erano presenti, oltre al vescovo locale mons. Wenceslao Padilla, il nunzio apostolico in Corea e Mongolia mons. Osvaldo Padilla e il vescovo della diocesi coreana di Daejeon, mons. Lazzaro You, insieme ad alcune autorità civili e religiose. Durante la cerimonia è stato molto toccante il momento in cui l’abate buddhista Choijamts, figura autorevole e ben nota del Buddhismo mongolo, ha voluto salutare il novello sacerdote e fargli scendere dal collo lungo le spalle una sciarpa azzura in segno di rispetto. Un gesto molto simbolico che parla al cuore della gente e dice dignità, riconoscimento, onore. Al termine della celebrazione è arrivato anche il sacerdote ortodosso della chiesa della Santissima Trinità di Ulaanbaatar, non lontana dalla cattedrale cattolica. Un altro gesto di grande significato, questa volta ecumenico: padre Alexey ha omaggiato don Enkh di un bassorilievo a icona, che rappresenta S. Nicola, venerato tanto dagli Ortodossi quanto dai Cattolici.
Il giorno seguente ha avuto luogo la prima Messa presieduta da don Enkh. Il clima era più raccolto, molta meno gente e più spazio ai sentimenti. Nell’omelia don Enkh ha voluto soffermarsi sul versetto biblico scelto per l’occasione: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua” (Lc 9,23). Oltre a sentirsi chiamato come il giovane Samuele (il brano tratto da 1Sam 3 era la prima lettura del giorno prima), Enkh ha ricordato il momento in cui ha sentito in maniera nuova la forza della croce: “Era il lunedì dell’Angelo dell’anno scorso; tutto avrebbe dovuto essere in festa, ma io non riuscivo a percepire la gioia della risurrezione. Riflettendo capii il motivo: non avevo voluto partecipare alla croce del Signore; ecco perché adesso non potevo provare l’immensa gioia della sua risurrezione…”. E si augurava di saper seguire il Signore sempre e comunque, per poter irradiare la Sua vita nel ministero sacerdotale.
Dalla piccola comunità di Arvaiheer erano in 15 e tutti hanno partecipato con molta commozione alla S. Messa del novello sacerdote. Chi, come Perliimaa-Rita, è arrivata alla fede ormai avanti negli anni, era ancora più felice nel vedere un giovane mongolo diventare prete; era convinta, come tutti del resto, che saprà raggiungere il cuore delle persone e contribuire in maniera decisiva al processo di inculturazione della fede in Mongolia. C’è anche un senso di soddisfazione nel constatare che “uno dei nostri ce l’ha fatta”: è la promessa di future vocazioni; altri, vedendo il suo esempio, ne seguiranno le orme. Per loro il momento forse più emozionante è stato quando il giorno della prima Messa don Enkh ha speso più di mezz’ora per imporre le mani su ognuno dei convenuti. “Vedere un sacerdote mongolo benedire la gente è stato molto commovente – confida Diimaa-Elizabeth – un gesto che fino ad ora avevamo visto compiere solo dai missionari ora lo compie un nostro giovane. È bello pensare che don Enkh sia diventato canale della benedizione divina”.
È quello che auguriamo anche noi a don Enkh: vivere il sacerdozio come lo visse il Beato Allamano, sempre docile allo Spirito che lo volle usare come conca dove la Grazia si posava e come canale che la lasciava scorrere sulla gente.
Comunità IMC e MC di Mongolia
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