L’11 giugno 2016, nell’ambito delle iniziative per il Giubileo degli ammalati e disabili, il Settore per la catechesi dei disabili dell’Ufficio catechistico nazionale (UCN) ha promosso un Convegno dall’eloquente titolo: “… E tu mangerai sempre alla mia tavola! (2Sam 9,1-13)”.
Scopo del Convegno, organizzato per celebrare il 25° anno di istituzione del Settore, era di offrire, oltre ad una panoramica della realtà dei disabili in Italia, linee guida, spunti e materiale per promuoverne l’accoglienza e l’inclusione pastorale nelle parrocchie, associazioni e movimenti ecclesiali.
Il Papa, ricevendo in udienza i partecipanti: persone disabili, familiari, accompagnatori, volontari, anziché leggere il discorso preparato per l’occasione, ha preferito rispondere a braccio alle domande che gli venivano rivolte, creando immediatamente un clima di spontaneità e semplicità. E a chi gli ha chiesto quale consiglio volesse dare a un Parroco che si rifiuti di accogliere ed escluda dalla catechesi e dai Sacramenti i portatori di qualche diversità o disabilità, Papa Francesco ha risposto con foga: “Ma che consiglio può dare il Papa? Chiudi la porta della chiesa, per favore! O tutti o nessuno”.
Il Pontefice non ha negato che l’inclusione dei portatori di disabilità necessiti di accorgimenti particolari e richieda sensibilità e competenze non scontate da parte di sacerdoti, catechisti ed educatori, ma ha ribadito che non si deve perdere di vista, innanzi tutto, che “tutti abbiamo la stessa possibilità di crescere, di andare avanti, di amare il Signore, di fare cose buone, di capire la dottrina cristiana, e tutti abbiamo la stessa possibilità di ricevere i Sacramenti”. A questo proposito ha citato come modello l’esempio di Papa Pio X che, agli inizi del secolo scorso, stabilendo che fosse data la Comunione ai bambini, – decisione che fu giudicata scandalosa, perché andava contro la prassi pastorale di quel tempo – intuì che la diversa comprensione del Sacramento da parte del bambino non deve essere causa di rinvio o esclusione ma di una catechesi e di un accompagnamento particolari e fece “di una diversità un’uguaglianza”.
Al tema dell’educabilità alla fede e dell’ammissione ai Sacramenti delle persone disabili, Papa Francesco ha dedicato un’ampia riflessione nel suo discorso (reperibile sul sito del Vaticano), affermando che “spesso si giustifica il rifiuto dicendo: ‘tanto non capisce’, oppure: ‘non ne ha bisogno’. In realtà, con tale atteggiamento, si mostra di non aver compreso veramente il senso dei Sacramenti stessi, e di fatto si nega alle persone disabili l’esercizio della loro figliolanza divina e la piena partecipazione alla comunità ecclesiale”. Per superare questo atteggiamento occorre crescere nella consapevolezza che “il Sacramento è un dono e la liturgia è vita”, che chiede pertanto di essere vissuta, prima ancora che capita, e che è compito di ogni comunità cristiana accompagnare i disabili perché possano fare esperienza dell’amore del Padre e di Cristo nei Sacramenti.
Un altro tema su cui il Papa si è soffermato nel suo discorso è quello del ruolo apostolico e missionario dei disabili, che devono essere valorizzati come protagonisti e non solo come destinatari della pastorale e dell’evangelizzazione; ciò presuppone, innanzi tutto, il riconoscimento del valore della loro presenza “come membra vive del Corpo ecclesiale e la consapevolezza che nella debolezza e nella fragilità si nascondono tesori capaci di rinnovare le nostre comunità cristiane”.
La Messa, dedicata ad ammalati e disabili, presieduta dal Papa in Piazza San Pietro, il 12 giugno, ha offerto un bellissimo esempio di celebrazione “inclusiva”: la presenza di bimbi con sindrome di down tra i ministranti, le letture tradotte da persone sorde nella lingua internazionale dei segni e, ancor più, il Vangelo messo in scena da persone con disabilità intellettiva, sono stati esempi di una liturgia celebrata non solo “per” ma “con” i disabili.
Gli eventi legati alla celebrazione del Giubileo degli ammalati e disabili, e in particolar modo il Convegno, hanno costituito anche una sorta di bilancio del cammino intrapreso dalla Chiesa, soprattutto a partire dagli anni del post-Concilio, per superare pregiudizi e stereotipi nei confronti della disabilità. La responsabile del Settore CEI per la catechesi dei disabili, Suor Veronica Donatello, ha ricordato, nel discorso di apertura del Convegno, il lungo lavoro di sensibilizzazione del tessuto ecclesiale nei riguardi dei disabili, anche intellettivi, l’impegno di sostegno delle famiglie e di accompagnamento dei cambiamenti sociali a partire dall’integrazione negli ambiti della scuola e del lavoro; ma ha indicato, come vero e proprio punto di svolta, la presa di consapevolezza dei disabili come soggetti attivi nella comunità ecclesiale (ben sottolineata da Papa Francesco), che ha trovato piena formulazione nei documenti dell’UCN L’iniziazione cristiana alle persone disabili. Orientamenti e proposte (2004) e Incontriamo Gesù. Orientamenti per l’annuncio e la catechesi in Italia (2014).
Si tratta di una svolta recente che è stata però preparata da intuizioni e iniziative profetiche di quanti, nella Chiesa, hanno saputo dare risposte ai bisogni più profondi di malati e disabili: penso in particolare alla figura di mons. Luigi Novarese (1914-1984), un sacerdote piemontese beatificato nel 2013.
Colpito, all’età di nove anni, da tubercolosi ossea, sperimentò che il superamento della malattia comporta un processo complesso che coinvolge non solo la dimensione fisica ma anche quella spirituale della persona e affinò una particolare sensibilità per la cura spirituale dei malati. Divenuto sacerdote, dedicò il proprio ministero a lottare contro l’emarginazione di malati e disabili: nonostante le forti opposizioni che incontrò nella Chiesa e nella società civile, fondò Associazioni per la valorizzazione e la promozione integrale della persona sofferente (come i Silenziosi Operai della Croce e il Centro Volontari della Sofferenza) e avviò corsi professionali per disabili; ma soprattutto, nel 1952, organizzò il primo corso di Esercizi spirituali per ammalati e disabili. Il successo di questa iniziativa e le richieste dei suoi malati di poter pregare in un ambiente idoneo lo indussero ad un’impresa per quei tempi pionieristica: la costruzione di una casa priva di barriere architettoniche (la Casa “Cuore Immacolato di Maria” a Re – Verbania, inaugurata nel 1960).
Papa Francesco ricevendo, il 17 maggio 2014, 5000 membri delle Associazioni da lui fondate, ha ricordato il suo motto programmatico: “Gli ammalati devono sentirsi autori del proprio apostolato”.
Paola Lamalfa
Questo articolo è stato pubblicato su Andare alle Genti
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