
L’8 marzo di due anni or sono, ho partecipato nella scuola di Marymount di Roma ad una speciale funzione per ricordare l’impegno di Sr. Letizia Pappalardo della Congregazione del Sacro Cuore di Maria che per diversi anni, oltre che occuparsi degli studenti della prestigiosa scuole internazionale, ogni sabato visitava con altre religiose di diversi paesi e congregazioni il centro di identificazione ed espulsione di Ponte Galeria. Scopo della visita a questo centro situato nelle vicinanze della Fiera di Roma era l’incontro con tante donne immigrate che purtroppo dopo aver subito ogni forma di violenza, sopruso e umiliazione sulle nostre strade si trovavano in un “carcere” in attesa di espulsione o meglio di deportazione nei loro paesi di origine da dove purtroppo erano fuggite dalla povertà e da altre forme di violenza fisica e psicologica.
Nell’ambito della giornata ho avuto modo di incontrare un bel gruppo di studenti delle classi superiori per dire a loro che la violenza esiste ancora in tanti modi e in tanti ambienti e che ciascuno di noi deve contribuire per creare una cultura del rispetto, della relazione vera, dell’accoglienza e riscoprire la bellezza e grandezza della dignità di ogni persona, specialmente di quelle donne che ancora oggi subiscono violenza, maltrattamenti e discriminazione. Ho parlato a loro della tratta di esseri umani, di compra-vendita, di una lunga catena formata da tanti anelli che formano la schiavitù di questo nostro secolo che si dice emancipato ma purtroppo ancora così violento contro la donna.

Ed è proprio la donna e più ancora la minorenne che è diventata l’anello più debole della catena, perché indifesa e vulnerabile sulla quale si può sfogare la violenza, l’ira, la gelosia e la rabbia. Si, la donna oggigiorno sembra essere considerata come una proprietà privata, un sopramobile che si può usare e buttare a piacimento e non invece come una compagna con cui condividere momenti lieti o tristi che la vita riserva ad ogni persona e soprattutto ad ogni famiglia.
L’idea della donna o più ancora della minorenne che si può comperare per poche migliaia di euro per poi farla fruttare 50-60-80 mila usando violenza fisica e psicologica, è ormai una triste realtà assai nota ma forse non ancora adeguatamente presa in considerazione e ci stiamo abituando a tanta violenza e discriminazione. Tra i tanti ricordi tristi di violenza vissuti sulla strada da tante giovani straniere ricordo una giovane mamma di 3 bambini, che dopo aver chiesto protezione alle nostre case di accoglienza senza terminare di pagare il suo debito di 42.000 Euro non ha avuto scampo. Il racket si è vendicato uccidendola barbaramente dando così un forte segnale anche alle altre vittime della tratta infame, specie per sfruttamento sessuale.

Nelle nostre numerose comunità di accoglienza, sparse in tutta Italia, che vogliono essere case famiglia protette, in questi ultimi anni oltre alle donne straniere, vittime di tratta per sfruttamento sessuale, hanno trovato accoglienza, sostegno e amore anche tante donne italiane con i loro bambini per sfuggire alle minacce e alla violenza domestica di uomini che non accettano sconfitte o mediazione di conflitti. Per evitare che i continui conflitti si traducano in veri drammi della follia umana c’è bisogno di allontanare le mamme con i loro bambini. Questo è un nuovo volto della violenza domestica che si consuma il più delle volte in modo silenzioso e oscuro tra le mura delle nostre case a cui bisogna dare molta attenzione, comprensione e sostegno .
Purtroppo questo fenomeno non è solo italiano ma è una piaga che sta dilagando in tanti altri paesi. Alcuni mesi or sono ho ricevuto una richiesta dalla moglie del Governatore di uno dei Paesi del Nord America che chiedeva di poter visitare una delle nostre case famiglia per donne vittime di tratta ma soprattutto vittime di violenza domestica per vedere e capire come intervenire per ridurre le tragiche conseguenze di tanta violenza domestica anche nella loro situazione.

Durante questa visita organizzata in una nostra casa famiglia avvenuta con il governatore, la moglie e tutto il seguito, visitando i vari ambienti dove ogni mamma aveva la sua cameretta, bella e accogliente con il lettino del bambino o dei bambini che dava il senso della privacy e della casa, così importante per ogni donna ospite, ci siamo imbattute in una giovane mamma straniera in attesa di un bimbo che ci ha raccontato la sua triste storia. Infatti dopo aver subito tanta violenza fisica per farla abortire da chi l’aveva messa incinta, non riuscendo nell’intento è stata letteralmente abbandonata sulla strada. Trovata di notte da una unità di strada, fu accolta nella comunità dove ha ritrovato una famiglia ed una casa. Commovente il nostro incontro con lei. Parlando in inglese anche se stentato la donna in lacrime mi chiedeva di ringraziare le suore che l’avevano accolta anche se lei era musulmana e noi cristiani, lei senza casa e senza famiglia e le suore le hanno dato una casa ed una famiglia, lei senza soldi e la comunità le offre tutto ciò di cui ha bisogno. Questo forte senso di riconoscenza di questa giovane mamma ha fatto breccia nei nostri visitatori che hanno costatato l’importanza di creare luoghi adatti per queste donne con i loro bambini per guarire dalle profonde ferite che si portano dentro e poter sperare in un futuro sereno per loro e per le loro creature.

Soprattutto nella giornata della donna chi ha subito tanta violenza non ha bisogno di una mimosa o di un fiore qualsiasi bensì ha bisogno di un gesto di accoglienza, solidarietà, rispetto e amore per ricominciare ad avere ancora fiducia nella vita, in se stessa, nelle istituzioni e in chi le sta accanto. E questo “qualcuno” possiamo e dobbiamo essere tutte noi in modo e forme diverse.
La giornata della donna si riapproprierà del suo senso vero della ricorrenza, ricordandoci che ogni donna è un grande dono di Dio per la nostra umanità che ha bisogno di tenerezza, di amore, di gioia, di donazione e di vita per una vera complementarietà pur nella differenza di ruoli e responsabilità. Auguri, donna!
sr. Eugenia Bonetti, MC