
La storia di Nojoud, la bambina yemenita che a 10 anni ha conquistato il tragico primato di più giovane divorziata al mondo, dopo che un tribunale le ha concesso di porre fine ad un matrimonio combinato con un aguzzino che aveva il triplo dei suoi anni, è stata raccontata in un libro autobiografico, scritto con la giornalista franco-iraniana Delphine Minoui (in Italia è edito da Piemme) e trasposta in versione cinematografica nel film La sposa bambina, proiettato nelle sale italiane lo scorso maggio.
La regista del film, Khadija Al-Salami, anch’ella yemenita e vittima di un matrimonio forzato subito in età infantile, racconta il dramma della bambina con delicatezza ed equilibrio, rendendo ragione delle motivazioni dei suoi genitori, responsabili e insieme vittime di un sistema culturalmente arretrato, con leggi e codici d’onore spietati ed inviolabili, in cui sono i più poveri ed indifesi ad avere la peggio. Così trova una spiegazione (non certo una giustificazione) la scelta del padre di Nojoud di darla in sposa per ricavarne una dote che viene usata per pagare qualche mese di affitto e, al tempo stesso, per proteggerla dal pericolo di subire la stessa sorte toccata alla sorella: questa, violentata da un giovane della tribù, era subito stata data in sposa al suo stupratore con un matrimonio riparatore e, tuttavia, era divenuta oggetto di continui pettegolezzi e critiche da parte della comunità, tanto che la famiglia era stata costretta ad abbandonare il proprio villaggio sui monti e a trasferirsi in città, dove i pochi soldi che si racimolavano con l’accattonaggio non bastavano a comprare il cibo per tutti né a pagare l’affitto di casa.

Ciò che più risulta sconcertante nel film è che quasi nessuno – neanche la madre – riesca a vedere in Nojoud una bambina, benché lei, appena può, corra a giocare con le sue amichette e giunga alla casa del marito stringendo a sé una bambola. L’eccezione è rappresentata dal giudice, che si intenerisce rivedendo in lei qualcosa della propria figlia e dall’avvocato donna che la difende. Gli argomenti che ella adduce, cioè che gli abusi sessuali e psicologici che la bambina ha subito non hanno alcun fondamento religioso e che il fisico minuto di Nojoud e il suo comportamento infantile denunciano chiaramente che non è pronta per sostenere l’impegno di un matrimonio e di eventuali gravidanze, non hanno tuttavia la forza di persuadere i due imputati del processo – il padre e il marito di Nojoud – che si appellano al fatto di aver solo seguito le norme tradizionali della loro tribù.
UN FENOMENO DIFFUSO IN TUTTO IL MONDO

Merito di questo film, sponsorizzato in Italia da Amnesty International, è di aver fatto conoscere il dramma dei matrimoni precoci (contratti cioè prima del raggiungimento del 18° anno di età), contro cui da anni si impegnano Organizzazioni intergovernative, ONG, reti internazionali e regionali e Agenzie delle Nazioni Unite (in particolare l’Unicef che nel 2001 ha pubblicato uno studio ampio e articolato sul matrimonio precoce, a cura del Centro Innocenti); l’ONU ha posto l’abolizione dei matrimoni precoci tra gli obiettivi da raggiungere entro il 2030.
Quello di Nojoud, infatti, non è purtroppo un caso isolato né raro: secondo i dati del Fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione (UNFPA), ogni anno avvengono circa 13,5 milioni di matrimoni precoci (cioè circa 37000 al giorno); nei Paesi in via di sviluppo 1 ragazza su 3 si sposa prima dei 18 anni, 1 su 9 prima dei 15. I matrimoni precoci riguardano anche i ragazzi, ma il fenomeno è in percentuale prevalentemente femminile (82% contro il 18% maschile). È una pratica diffusa a livello mondiale, ma particolarmente frequente nell’Africa sub-sahariana, Medioriente e Asia meridionale. Si consideri che questi sono dati ufficiali e che il numero reale potrebbe essere di molto superiore, perché, data l’inadeguatezza o la totale assenza di sistemi di registrazione anagrafica, migliaia di matrimoni non vengono registrati oppure non si conosce esattamente l’età degli sposi (entrambi i casi comportano di per sé una violazione di diritti, perché un minore senza certificato di nascita o un coniuge senza un documento che attesti il matrimonio non godono di alcuna tutela).
LE CAUSE PRINCIPALI

La povertà è una delle principali cause dei matrimoni precoci: una giovane figlia può essere un pesante onere economico, mentre un matrimonio – tanto più quando lo sposo è tenuto a corrispondere un compenso al padre della sposa – può diventare un mezzo di sopravvivenza economica. In più, il matrimonio può essere visto come un modo per proteggere le bambine e garantire loro stabilità economica e protezione, sotto il controllo del marito, da approcci e violenze sessuali e da gravidanze fuori dal matrimonio. Questo vale non solo nelle comunità più ancorate a valori tradizionali ma anche in contesti di particolare instabilità: un aumento significativo di matrimoni di adolescenti si sta verificando, per esempio, nei campi profughi siriani in Libano.
La pratica del matrimonio precoce dipende, però, prevalentemente da come si concepisce il ruolo e la struttura della famiglia, nonché gli ambiti di responsabilità dei suoi membri, sia all’interno del nucleo familiare sia nella comunità. Là dove le decisioni inerenti al matrimonio di figli e figlie spettano ai capifamiglia, la scelta di combinare un matrimonio tra una bambina ed un uomo adulto può risultare normale, tanto più in quelle società dove non esiste il concetto di adolescenza ed una ragazzina entrata nella pubertà, o giunta all’età ritenuta tradizionalmente “da marito”, viene automaticamente considerata una donna.
I DANNI DI UN MATRIMONIO PRECOCE

Gli effetti negativi dei matrimoni precoci sono molti, in primo luogo per ciò che riguarda la salute: ai traumi legati ai rapporti sessuali forzati si aggiungono le gravidanze troppo precoci, quando il corpo non ha ancora raggiunto la piena maturità, che costituiscono un grave rischio per la sopravvivenza e la salute della madre e del bambino, durante la gravidanza ed il parto; inoltre, i neonati figli di madri adolescenti hanno statisticamente maggiore probabilità di scarsità di peso alla nascita, in genere collegata alla sottoalimentazione della madre, e minori possibilità di sopravvivenza nel primo anno di vita, perché una madre troppo giovane è immatura e impreparata a prendersi adeguatamente cura del figlio.
I danni psicologici sono enormi: l’impossibilità di vivere il tempo dell’infanzia e dell’adolescenza e la negazione della libertà che si accompagnano al matrimonio precoce hanno profonde conseguenze a livello di sviluppo personale. Per le ragazze, in modo particolare, il matrimonio coincide con la perdita della possibilità di frequentare la scuola e con l’inizio di una vita di sottomissione nella famiglia del marito, in cui i tentativi di ribellione e di fuga sono puniti secondo le regole “d’onore” della comunità. Nel caso, poi, di abbandono o ripudio da parte del marito o di vedovanza, la mancanza d’istruzione rende difficile per le giovani trovare un lavoro per mantenersi e le espone al rischio di divenire vittime di sfruttamento e di commercio sessuale.
Il matrimonio precoce perpetua così un ciclo di povertà e di arretratezza che si ripercuote non solo sulle spose e sui loro bambini, ma sull’intera comunità di appartenenza.
STRATEGIE CONTRO I MATRIMONI PRECOCI
Un matrimonio contratto per costrizione, o in un’età in cui non si è in grado di esprimere un consenso consapevole o in cui non vi è parità tra i coniugi, costituisce una violazione dei diritti umani, dei diritti dell’infanzia e una forma di discriminazione contro le donne, e va contro una lunga serie di Dichiarazioni, Patti e Convenzioni, a partire dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. La sensibilizzazione dell’opinione pubblica su questi diritti e il coinvolgimento dei responsabili nazionali ed internazionali per conformare ad essi le politiche e i programmi di governo è stata la prima strada intrapresa contro i matrimoni precoci. Ma spesso, in molti Paesi, gli interventi di tipo legislativo e giuridico a livello nazionale – compresa la revisione delle leggi civili sul matrimonio – non incidono sulle consuetudini delle comunità, che si attengono a tradizioni profondamente radicate nella cultura locale, per cui il matrimonio precoce può essere ufficialmente proibito, ma, in pratica, tollerato o addirittura approvato.
La carta vincente per incentivare a posticipare i matrimoni, anche in comunità molto tradizionaliste, si è rivelata quella dell’istruzione: i risultati più confortanti si sono ottenuti là dove si sono adottate strategie per incrementare la scolarizzazione delle bambine, per esempio attraverso gli incentivi economici alle famiglie, il coinvolgimento diretto delle comunità nella gestione delle scuole e la promozione di corsi informali per chi non ha accesso ai percorsi scolastici regolari.

Non a caso La sposa bambina termina con alcune scene di Nojoud a scuola, restituita, sia pure con i segni indelebili della violenza subita, ai giochi e agli impegni che ogni bambina della sua età dovrebbe poter vivere: l’immagine di Nojoud circondata dal gioioso girotondo delle sue compagne non è solo il simbolo della conclusione felice della sua storia, ma anche un messaggio di speranza e un auspicio per tutte le bambine e i bambini del mondo.
Paola La Malfa
Questo articolo è stato pubblicato nella rivista Andare alle Genti