
Ho vissuto in Mozambico dal 2000 al 2002. Sì, un tempo molto breve, ma sufficiente a cambiarmi la vita. Abitavo a Maúa, nella provincia del Niassa, al nord del paese, nella terra del popolo Macua, condividendo la missione con consorelle, confratelli e tanta gente con cui abbiamo scambiato vita e consolazione. Ho sperimentato che la consolazione non va a senso unico ma a due sensi: a Maúa sono stata consolata e sono anche stata, per grazia gratuita di Dio, mediazione di consolazione. E questo non vale solo per Maúa: la missione è reciprocità e scambio, ovunque siamo.

Noi Missionari e Missionarie della Consolata «siamo per i non cristiani»: per questo siamo nati, per questo esistiamo, per questo siamo arrivati in Africa tanti anni fa. La missione fra i non cristiani è «la ragion d’essere» degli Istituti. Nel linguaggio tipico del suo tempo, il Beato Giuseppe Allamano diceva che «[L’Istituto ha] il proprio fine speciale e secondario, che ne forma la caratteristica ed è la sua ragion d’essere: l’evangelizzazione degli infedeli»[1]. Questo dato, espresso quanto mai chiaramente e sinteticamente dal nostro fondatore, resta gravido di conseguenze ieri come oggi: siamo nati, siamo cresciuti e viviamo nell’orizzonte dei non cristiani[2]; questo orizzonte, per così dire, ci ha generati e continua ad essere per noi vitale. In un mondo religioso (e politico-sociale) che costruisce una frontiera tra i fedeli e gli infedeli, tra i pagani e i cristiani, l’Allamano, dalla sua esperienza di Dio e dal contatto con Maria Consolata, crea qualcosa di nuovo e inventa per noi il senso della missione[3]: muoversi verso l’altro, rivoluzionando le frontiere perché esse sono invenzioni umane destinate a variare a seconda delle paure, delle resistenze e delle insicurezze dell’essere umano. I Missionari e le Missionarie della Consolata sono nati per «andare», per muoversi in direzione dell’altro, per accoglierlo, ma anche per lasciarsi raggiungere dall’altro ed esserne accolti. I Missionari e Missionarie della Consolata hanno bisogno dell’altro per esistere. Il viaggio missionario è trasformazione: non solo del non cristiano, non solo di colui al quale è annunciato il Vangelo, ma anche del missionario. Nelle parole di Padre Trevisiol IMC: «Il fatto di essere cristiani e portatori del Vangelo è per noi il dato da cui partiamo e andiamo verso gli altri, mentre ci è più difficile scoprire quanto di essi è penetrato dentro di noi. Sì, noi siamo per gli infedeli, ma non saremo ciò che siamo senza di loro»[4].
Ora, che cosa c’entra tutto questo con l’esperienza tra il popolo Macua in Mozambico?
Noi, Missionari e Missionarie della Consolata, siamo arrivati tra i Macua Scirima di Maúa e dintorni negli anni ’40, quando la gente di là non era cristiana. Noi eravamo per loro ma noi avevamo bisogno di loro. Abbiamo camminato assieme, coi nostri errori, fragilità e limiti, ma anche con la nostra passione e la nostra voglia di conoscerci e di comunicare, e la vita ha cominciato a scorrere tra noi, aprendo canali di dialogo, rigenerandoci reciprocamente. Ci siamo accorti, lungo la storia, segnata da gioie e dolori – e da tanti anni di guerra – del mutuo bisogno di comunicazione e la reciprocità, la compenetrazione, sono diventate vita nella misura in cui è stato possibile accoglierci nella nostra alterità ma anche nella nostra consanguineità in quanto figli dello stesso Padre che per tutti – cristiani e non cristiani – ha mandato il Figlio.
Negli anni in cui ho vissuto a Maúa, e nelle mie visite quasi annuali successive, con un gruppo di persone del luogo, papà e mamme di famiglia, la maggioranza cristiani ed alcuni musulmani, abbiamo svolto una ricerca approfondendo la sapienza e la spiritualità originale del popolo, attraverso lo studio dei miti, dei proverbi, dei riti che fioriscono dal tesoro culturale Macua. Una delle persone con cui ho più collaborato in questa ricerca è il signor Luis Prisciliano.

Luís Prisciliano, di etnia Macua, originario della provincia di Cabo Delgado, Mozambico, è cresciuto e ha studiato presso una missione cattolica. Ha insegnato in questa zona per diversi anni in scuole di primo livello, dedicandosi all’arte, specie alla pittura, nei tempi liberi. Sentendosi poi chiamato alla vocazione di guaritore, ha trascorso lunghi periodi di pellegrinaggio ed apprendimento presso i santuari tradizionali, in foresta, tornando alla cittadina di origine in qualità medico tradizionale, professione praticata per diversi anni. Si è quindi dedicato quasi completamente al disegno e alla pittura, fino a quando per questioni di salute ha dovuto ritirarsi. Ha esposto alcune sue opere (olio su tela) alla Expo Missionaria di Roma in occasione del Giubileo dell’anno 2000. Ha collaborato alla illustrazione di pubblicazioni curate dal Centro Studi Macua Xirima di Maúa. Prisciliano è stato per me un prezioso interlocutore e maestro, alla cui sapienza, disponibilità, pazienza e capacità dialettica ho avuto la gioia e la fortuna di attingere a più riprese. Prisciliano ha lasciato questa terra per “tornare al Namuli” (il monte sacro della tradizione spirituale Macua), alcuni anni fa e ora gode del pieno abbraccio di Dio Padre e Madre.

Un pomeriggio di settembre dell’anno 2005, a Maúa, parlavo con Prisciliano che mi raccontava, in tono affettuoso e rispettoso, di quanto «strani» i missionari e le missionarie possano risultare per le loro abitudini, il loro modo di vivere, così diverso dalla gente del luogo. Tra me pensavo che veramente, dalla prospettiva macua, dovevamo apparire come un fenomeno esotico, coi nostri modi di parlare, di salutare, di mangiare, di rapportarci; chissà quante volte, riflettevo dentro di me, siamo riusciti ad essere grossolani e maleducati senza nemmeno rendercene del tutto conto. Gli chiesi come facessero a sopportarci così come siamo. Prisciliano, serio e pacato, mi spiegò che c’era una cosa importantissima che ci accomunava. Prese tra le mani il crocifisso che portavo al collo e disse più o meno queste parole: «Siete arrivati con questo, e questo basta. Tra questo e il Dio dei nostri antenati non c’è contraddizione. Siamo parenti».
Simona Brambilla MC
[1] L. Sales, La vita spirituale. Dalle conversazioni ascetiche del Servo di Dio Giuseppe Allamano fondatore dei missionari e delle missionarie della Consolata, Torino 1963, 18.
[2] Cf. A. Trevisiol, «Noi siamo per gli infedeli», Documentazione IMC 60 (2002), 14
[3] Cf. A. Trevisiol, «Noi siamo per gli infedeli», 16.
[4] A. Trevisiol, «Noi siamo per gli infedeli», 18.