Mandati per consolare

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Papa Francesco, in questo Anno Santo della Misericordia, nel suo messaggio per la Quaresima, ci invitava a riflettere sulle opere di misericordia, riprendendo la bolla di indizione del Giubileo “Misericordiae Vultus”, laddove si dice che “la nostra fede si traduce in atti concreti e quotidiani, destinati ad aiutare il nostro prossimo nel corpo e nello spirito e sui quali saremo giudicati: nutrirlo, visitarlo, confortarlo, educarlo”.

In sintonia con questo invito di Papa Francesco, anche noi nella lontana missione di Arvaiheer (Mongolia) abbiamo riflettuto e cercato di comprendere come noi, Missionarie e Missionari della Consolata, possiamo essere un segno di Consolazione per questo popolo al quale Dio ci ha inviato.

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vista panoramica di Arvaiheer

Leggendo una delle guide turistiche della Mongolia, quando si arriva a parlare del paese di Arvaiheer, situato a sud ovest della Capitale, all’inizio del deserto del Gobi, si trova scritto che in questo paese non c’è niente di interessante da vedere, è solo un posto discreto per fare alcune provviste e poi proseguire il viaggio. Proprio in questo paese dove non c’è niente di interessante dieci anni fa abbiamo deciso di iniziare una missione e cercato di essere un segno di Consolazione per questa gente. Pian piano ci siamo accorti che nel cuore delle persone c’era tanta solitudine, un vuoto e una mancanza di orientamento che li portava ad incorrere facilmente in problemi di vario tipo.

Fin dall’inizio non abbiamo avuto nessuna pretesa se non quella di esserci, di essere vicino alla gente e camminare con loro. Stando con loro abbiamo capito che anche noi avevamo bisogno di essere guardati, accarezzati, abbracciati e guariti da Dio, di scoprire la Consolazione di Dio nella nostra vita. È bello stare, camminare con la gente ed insieme chiedere a Dio di guarirci dalle nostre infermità, di perdonare il nostro peccato ed essere consolati da Lui.

mongolia_lucia2In una delle preghiere domenicali dell’Angelus il Papa ripeteva: “Non possiamo essere messaggeri della consolazione di Dio se noi non sperimentiamo per primi la gioia di essere consolati e amati da Lui. E questo ci dà consolazione: quando rimaniamo in preghiera silenziosa alla sua presenza, quando lo incontriamo nell’Eucaristia o nel sacramento del Perdono. Tutto questo ci consola.

Oggi c’è bisogno di persone che siano testimoni della misericordia e della tenerezza del Signore, che scuote i rassegnati, rianima gli sfiduciati, accende il fuoco della speranza. Lui accende il fuoco della speranza! Non noi. Tante situazioni richiedono la nostra testimonianza consolatrice. Essere persone gioiose, consolate” (Angelus 7 -12-2014).

Quante situazioni richiedono il “consolare”! Qui alla missione di Arvaiheer viene molta gente a chiedere un po’ di consolazione: l’ubriaco che vuole uscire dalla dipendenza dall’alcool; la mamma che non sa più cosa fare per evitare che il figlio diventi un delinquente; la moglie picchiata dal marito depresso; il ragazzo che si vergogna di andare a scuola con le scarpe rotte… La maggior parte della gente è di religione buddista, ma sa che qui può trovare delle persone che ascoltano, che aiutano e che stanno vicino a loro nella sofferenza.

Vorrei condividere con voi l’incontro con Battogoo, giovane mamma vedova già due volte, che alcuni mesi fa ha perso il secondo marito, morto suicida sotto l’effetto dell’ennesima ubriacatura. Ogni giorno veniva alla missione a piangere, non c’erano risposte alla sua sofferenza, ma insieme piangevamo, non era sola, eravamo insieme a soffrire e cercare consolazione. Ci sembrava che non fosse abbastanza per lei, e invece, un mese dopo il funerale, è venuta a confessarci in lacrime che nel momento più buio della sua vita, quando anche i parenti del marito defunto la accusavano di non aver fatto abbastanza per evitare il peggio e l’avevano letteralmente abbandonata, solo noi le eravamo state vicine e per lei questo aveva rappresentato l’unica ancora di salvezza.

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comunità IMC -MC in Mongolia

L’incontro con Tsagaanaa è stato un altro segno della Provvidenza. Già tante volte eravamo venuti in soccorso alla sua famiglia, tristemente segnata dal suo eccessivo bere. Una di quelle volte è venuto lui stesso a riconoscere che non ce la faceva più, rivelando che cercava nell’alcool il rimedio a certi problemi relazionali e caratteriali: “Aiutatemi a uscire dalla prigione dell’alcool! Voglio diventare un bravo papà, un marito migliore…”. Si è fermato da noi qualche giorno, dormendo in una stanza messa a disposizione dai confratelli missionari e confrontandosi ogni giorno con noi, lontano dalla sua famiglia. Gli abbiamo fatto conoscere un uomo che come lui era dipendente dalla vodka, ma che poi era riuscito a venirne fuori e ora dava testimonianza della sua rinascita. Così è nata l’idea di avere anche qui alla missione un gruppo di condivisione e di aiuto reciproco, improntato all’esperienza degli Alcolisti Anonimi. Con Tsagaanaa abbiamo montato nel terreno della missione una ger (tenda mongola) e ogni settimana lui si ritrova insieme ad altri uomini a condividere l’impegno di questo cammino di guarigione. È lui che adesso incoraggia noi a darci sempre più da fare nel nostro impegno per la gente e testimonia con il suo lavoro l’importanza di ritrovare il senso delle cose attraverso la fatica e il ritmo cadenzato dalla preghiera.

Sarebbero tanti i casi come quelli di Battogoo e di Tsagaanaa da potervi raccontare. Persone comuni, facilmente giudicate dalla gente come ormai perse o inutili e che invece, attraverso la porta della consolazione, hanno scoperto la propria dignità e sono tornate a sperare. E questo viene proprio da Dio come un suo dono, è lo Spirito di Consolazione che vuole agire anche attraverso di noi, che spesso ci sentiamo inadeguate a rispondere ai tanti bisogni che vediamo intorno a noi. Diventa allora quanto mai urgente darci quotidianamente all’incontro con questo Dio di misericordia infinita, che si serve dei suoi servi “inutili” per irradiare vita e consolazione.

Suor Lucia Bortolomasi, mc

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