Oggi a scuola, nella sala dei professori, ho ascoltato la conversazione tra due mie colleghe. Si erano fermate sulla porta e Ornella diceva a Giovanna di aver sorpreso una ragazza e un ragazzo dell’ultimo anno a sbaciucchiarsi nei corridoi durante l’ora di lezione. Le riferiva che aveva intenzione di mettere loro una nota sul registro. Giovanna invece non era d’accordo, le dava dell’antiquata e poi… si trattava di due ragazzi maggiorenni! Sarebbe bastato suggerire loro di trovare un altro momento e un altro posto per i loro incontri.
Parlavano a bassa voce e ne ero contento, non volevo essere coinvolto nel discorso per non dare ragione all’una o all’altra, o addirittura per dare torto a tutte e due. Meglio mantenere le buone relazioni. Perciò ho preferito continuare a correggere i compiti in classe fatti dai miei alunni e presto non le ho sentite più parlare, anche perché ho cominciato a pensare cosa avrei detto e cosa avrei fatto se il ragazzo fosse stato Luigi, mio figlio. Non ho potuto fare a meno di pensare alle delusioni che si vivono a quell’età, alle depressioni che si devono affrontare e superare. E poi mi sono ricordato di quanto era successo a Roberto, mio compagno di scuola, e come questo aveva condizionato per sempre la sua vita. Mi sono passati per la mente anche i problemi dei miei giorni di adolescente e il modo che ho seguito per viverli: da solo, senza dire niente a nessuno.
Deciso a parlarne con Carla, mia moglie, che sa sempre come affrontare semplicemente le cose, mi è ritornata in mente quella volta che ero andato in oratorio a vedere Luigi giocare a calcetto. Ero lì seduto nella tribunetta e vicino a me c’era don Sergio con tre ragazzi. Uno di loro, con gli occhi che gli brillavano, ci teneva a che tutti sapessero che si era innamorato. Subito don Sergio gli chiese se era sicuro di essere innamorato. <Perché sai – continuò – ci sono tanti che pensano di essere innamorati e invece si fidanzano solo per dimostrare agli amici di essere stati capaci di mettersi assieme a una ragazza, oppure per avere qualcuno che sia pronto a capirli o a coccolarli quando ne hanno bisogno. L’innamorato vero si fa “servo della felicità”.
Si, perché uno che vuole davvero bene a una ragazza lascia amici, calcio, computer, videogiochi, tutto, e fa il possibile e anche l’impossibile perché la sua innamorata sia davvero felice. Chi non diventa un “servo della felicità” non è innamorato davvero. E’ un’altra cosa, ed è bene che lo sappia>. Mi sono ricordato anche che pensai subito che quello che aveva detto don Sergio era “davvero vero”. Mi sono proposto perciò di raccontare tutto a Luigi alla prima occasione. E ho deciso di dire queste mie riflessioni anche ad Ornella e Giovanna. Forse aiuteranno anche loro.
Gv 15, 12-13
Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici.
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