Il 15 settembre 2024 le Missionarie della Consolata hanno compiuto 20 anni di missione in Gibuti. Per l’occasione proponiamo un’intervista a Suor Grace, missionaria della Consolata keniana, da 13 anni nel piccolo stato del Corno d’Africa, e un video celebrativo, dove le Sorelle della comunità attuale ci raccontano il significato di questa presenza ad gentes in un contesto totalmente musulmano.
Suor Grace, raccontaci la tua vita missionaria in Gibuti
Nei miei 13 anni di missione Gibuti ho fatto un’esperienza molto positiva in mezzo ai musulmani, sono persone diverse da me. Quando sono arrivata, ho faticato a comunicare in francese, ma poi, superato lo scoglio della lingua (ho imparato anche il somalo, che è la lingua più diffusa in Gibuti). Lavoro nell’ospedale con i malati, anche nella scuola: c’è accoglienza da parte della gente. Non possiamo “evangelizzare”, anzi: la gente si preoccupa perché noi non ci convertiamo all’Islam! Ma io sento che, mentre lavoriamo e stiamo con la gente, l’importante è che condividiamo la nostra esperienza di Dio. Non possiamo vedere il frutto. Ma dalle moschee, sentire la voce del muezin che invita alla preghiera, mi dà gioia, sento che sono a Gibuti come Missionaria della Consolata
13 anni sono molti!
Non mi è mai venuto meno l’entusiasmo e l’energia di stare in Gibuti. Ci sono sfide, non ci sono cristiani, non possiamo proclamare la Parola di Dio apertamente, ma noi parliamo del Vangelo con le nostre vite e il nostro lavoro. Per esempio, i bambini disabili, di solito sono rifiutati dalla famiglia. Ma nella missione li acogliamo, vogliamo loro bene, e destiamo quindi domande nella gente: perché fate questo? Così nell’ospedale: ci sono persone accantonate, ma noi le serviamo e abbiamo cura di loro. Allora la gente capisce che lo facciamo per Dio, anche se continuano a rimanere nella fede incrollabile di Allah. Ma sono sicura che non ho perso il mio tempo a Gibuti!
Quando sei entrata in Istituto, pensavi di ricevere una missione come questa?
Non avrei mai pensato che avrei vissuto in paese musulmano. Per me era chiaro che sarei uscita dal mio Paese, il Kenya, ero pronta per questo, per andare in America, in Asia… ma… non pensavo proprio di andare in un Paese musulmano! Eppure, dapprima l’Istituto mi aveva destinato alla Libia, paese in cui non sono riuscita ad entrare; quindi, Gibuti: i Paesi musulmani mi inseguono! Quello che vedo, è che bisogna essere preparate per la missione nel mondo islamico: ci vuole tempo e riflessione. Studio ed esperienza. Nel momento del Ramadan, per esempio, mentre la gente fa digiuno, non si può mangiare o prendere acqua davanti a loro: è una forma di rispetto. Sono piccole cose che si imparano nella vita di ogni giorno. Anche sbagliando.
Pensi che sia possibile il dialogo con il mondo musulmano?
Per me è possibile, ma prenderà tempo. Sono persone con cui si può dialogare, ma bisogna vedere che tipo di dialogo. Un dialogo tra grandi, a un tavolo, penso sia difficile. Noi realizziamo il dialogo nel silenzio: per esempio, i giovani che vengono nella nostra scuola di alfabetizzazione, molte volte non hanno speranza per il futuro. Con gli anni, costruiamo insieme possibilità, e loro riconoscono il valore di questo servizio. Per noi è il valore della vita il punto centrla del dialogo che costruiamo con i musulmani: cerchiamo tutto ciò che ci unisce. Noi con la vita cerchiamo di fare piccoli passi.
Oggi sta entrando tanto radicalismo
Si, i maestri delle scuole coraniche, che provengono dall’Arabia Saudita, inculcano idee di odio verso i cristiani. Nella scuola cerchiamo di riprendere i valori, ma è difficile, perché hanno molta influenza sui bambini e giovani. Molti ci rispettano, rispettano il nostro discepolato verso Gesù Cristo, anche se lo considerano solo un profeta. Un altro punto che la gente fa fatica a comprendere, è che noi suore africane non siamo musulmane e non abbiamo marito e figli. Nella promozione della donna, insegnamo taglio e cucito, ma nel dialogo cerchiamo di far capire che le donne non hanno solo il dovere di procreare, sono persone che bisogna rispettare.